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Ritrovare il senso

In un colloquio con una cara persona avvenuto qualche giorno fa, ho fatto alcune riflessioni che qui vi riporto per il piacere della condivisione.
Nelle tragedie in chiave moderna di Shakespeare, ma anche nell'Inferno della Commedia di Dante, incontriamo personaggi che intendono il mondo come privo di senso ontologico. Per loro solo il potere ha senso. Solo la lussuria e l'avidità sono i motori del mondo. Questa medesima concezione è espressa nel sedicesimo capitolo della Bhagavad-gita quando Krishna descrive le caratteristiche delle persone ottenebrate: esse non conoscono l'arte dell'agire, né quella della rinuncia; in loro non si trovano né purezza, né buon comportamento, né veridicità. Dicono che il mondo è frutto del caos, senza fondamento, senza un'intelligenza ordinatrice, solo mosso e governato dalla libido, dalla “concupiscentia carnis”, dalla cupidigia. Ma a questa prospettiva se ne può e se ne deve contrapporre un'altra: quella in cui il mondo, il tempo e la storia hanno il loro senso; in cui tutto ha senso secondo il progetto dell'universo finalizzato all'evoluzione etica e spirituale, e questa prospettiva certamente non manca in Dante e nella Bhagavad-gita. In questa visione tipica delle culture tradizionali, l'essere umano risulta investito di una grande responsabilità. All'inizio delle sue confessioni Sant'Agostino afferma: “L'uomo è responsabile della propria morte”, intendendo con ciò esprimere che è responsabile di tutto quel che fa, persino di quel che appare come forza ineluttabile del destino, al di là di ogni umano controllo. Anche nella prospettiva della tradizione indovedica, con ogni azione l'essere può scegliere il bene o il male in qualsiasi momento. Sempre ha facoltà di decidere se volgersi verso il buio o verso la luce. Sempre è chiamato ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Chi ad esempio eccede nel sonno o nell'ozio, dovrebbe essere consapevole che sta rinunciando ad una parte importante del tempo limitato che gli è stato assegnato in questa vita. Quando invece sceglie di rinunciare all'effimero e di caricarsi di impegni e di voti sacri, sta cedendo le proprie pseudo-libertà per conquistare la vera libertà, quella che trasforma l'uomo in un eroe che ha dominato gli istinti e le passioni. I gaudenti sono ammalati di cecità selettiva, poiché considerano solo i piaceri immediati e fugaci e perdono di vista il vero e duraturo bene e così, inesorabilmente, sfugge loro il valore della vita.

Marco Ferrini

 

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